a cura di Sarah Isidori
La consulenza filosofica è un dialogo libero e “paritario” tra consulente e consultante e aiuta
quest’ultimo a fare chiarezza su alcuni suoi vissuti e situazioni.
Gerd Achenbach ne ‘La consulenza filosofica’ parla di un colloquio libero in cui non c’è
l’obiettivo di costruire alcuna filosofia, né di somministrare opinioni filosofiche ma in cui
semplicemente si porta il consultante a ‘filosofare’. La consulenza filosofica, inoltre, sostiene
ancora Achenbach considerato il “padre” della Philosophische Praxis, non si nutre del dislivello
guaritore-paziente su cui è basata ogni terapia, non si tratta di amministrare e somministrare
una teoria e di rendere l’individuo un paziente bisognoso da trattare; e in questo senso non può
essere considerata una terapia.
La consulenza filosofica è un incontro tra esseri umani in cui entrambe pretendono qualcosa
l’uno dall’altro e ciò che si pretende è la “ragionevolezza”.
Ovviamente tra il consulente e il consultante non c’è una parità completa perché il counseling
filosofico è comunque una relazione d’aiuto in cui l’ospite pone nel dialogo alcuni problemi da
trattare, grazie all’intervento del consulente.
Tuttavia, il nucleo fondamentale della consulenza filosofica è l’esperienza del “confilosofare”,
del dialogo socratico e, in questo senso, la relazione esprime una preziosa forma di parità in cui
il dialogo tra consulente e consultante diventa vivo e reale, in cui la vita del consultante e la sua
filosofia diventano centrali ed emergono con chiarezza, in cui la filosofia si fa pratica.
Il consulente durante il dialogo non scava nelle esperienze raccontate dal cliente, non interpreta
e non ha l’intento di far emergere contenuti inconsci. Parlando di inconscio ci riferiamo qui alla
nota teoria di Freud secondo la quale buona parte delle nostre azioni e dei nostri pensieri
sarebbero determinati da forze che non sono sotto il nostro controllo ma che agiscono in
maniera latente e di cui non siamo consapevoli, mentre l’attività cosciente, i pensieri e le
riflessioni che facciamo rappresentano solo la punta di un iceberg e quindi la minima parte della
nostra vita psichica. Se compito della psicanalisi è molte volte portare alla luce quanto nel
paziente è stato rimosso, è inconscio e spesso causa di sofferenza, il consulente filosofico lavora
sul piano cosciente, potremmo dire su tutto ciò che nel dialogo è già disponibile alla coscienza o
che attraverso la pratica filosofica e il domandare socratico emerge.
Più si riesce a far chiarezza e a prendere consapevolezza dei nostri vissuti, più ci si sente in
armonia con le proprie facoltà e capacità. Alle volte alcuni stati emotivi sono al di sotto della
superficie della nostra consapevolezza e questo può generare delle situazioni conflittuali e stati
di ansia.
Si parla di incongruenza come di una discrepanza fra l’esperienza reale dell’organismo e
l’immagine di sé che l’individuo ha quando si rappresenta quell’esperienza.
“Per esempio uno studente può provare, a livello globale, o organismico, paura dell’università e
degli esami che si svolgono al terzo piano di un certo edificio, in quanto questi possono mettere
in luce una sua inadeguatezza. Poiché la paura di tale inadeguatezza è decisamente in contrasto
con il concetto che egli ha di sé, questa esperienza è rappresentata nella sua coscienza in modo
distorto, come una paura irragionevole di salire le scale di questo o di qualunque altro edificio,
e, ben presto, come una paura irragionevole di attraversare le piazze” (Carl Rogers, La Terapia
centrata sul cliente).
Nella consulenza filosofica così come nella psicoterapia c’è la possibilità di lavorare con diversi
livelli di consapevolezza, con sensazioni e sentimenti più o meno radicati e profondi, in un
processo che procede per stadi di chiarificazione, di presa di consapevolezza, di scioglimento di
nodi infiammati, di arricchimento e fluidificazione del linguaggio dove progressivamente le parti
celate e inconsce affiorano.
Quello che è stato interessante scoprire nella consulenza filosofica è che il conflitto in genere
avviene tra diversi livelli di consapevolezza.
Mario è un uomo di 55 anni in eterno conflitto con il padre. Vive un sentimento quasi di resa nei
confronti del padre, sente di dover lasciare andare i risentimenti, le acrimonie e quando non ci
riesce si riporta a casa, nella sua vita privata il senso di colpa per aver contrastato il padre.
Cominciamo a parlare delle discussioni che avvengono con il padre, delle sensazioni, dei
sentimenti e delle idee filosofiche, tra loro profondamente interconnesse, che emergono e
progressivamente affiora un sentimento nuovo, importante, prepotente nei confronti del padre:
la rabbia. Una rabbia che prima era celata, inconscia.
Il conflitto che emerge è dunque tra il sentimento di voler lasciare andare le resistenze contro il
padre e la rabbia profonda, l’odio che prova verso di lui. Cominciamo a parlare delle sensazioni,
sentimenti e idee filosofiche legate ai due termini del conflitto, parliamo del senso che queste
due dimensioni hanno per lui, portiamo chiarezza.
Facendo chiarezza Mario contatta anche l’odio, in tutti i suoi echi e risonanze, anche legittime e
il senso di colpa scompare.
Il conflitto è emerso chiaramente, i vissuti sono più chiari e il malessere è scomparso.
“Lo scopo dell’esercizio – delle voci interiori – è risvegliare la profondità filosofica delle voci che
si esprimono nella nostra anima. Il conduttore invita i partecipanti a pensare ad un momento (…)
che scelgono di ricordare e condividere a partire dal livello sensoriale-emotivo, ma per cogliere,
evocare, scorgere e fissare le risonanze più concettuali, quelle che danno voce anche
intellettuale a quelle emozioni-sensazioni focalizzate. Quello che emerge è un accrescimento
della ricchezza a livello di idee e concetti (…); riduzione, sollievo causati nell’immediato da una
deflemmatizzazione della propria anima”. (Giancarlo Marinelli, Filosofia dell’immaginazione. Il
linguaggio della pratica filosofica).
Per altro verso è importante ascoltare la voce di Jung.
“I moderni sviluppi della psicologia medica hanno condotto necessariamente, attraverso
l’osservazione dei processi mentali nelle psicosi e nelle nevrosi, a un’analisi sempre più
approfondita di quei processi psichici reconditi definiti comunemente col nome di inconscio. È
proprio la psicoterapia a esigere ricerche del genere, perché è assolutamente impossibile negare
ormai che i disturbi morbosi della psiche non si possono spiegare esclusivamente né in base a
modificazioni fisiche né in base a processi della coscienza; per spiegarli occorre considerare un
terzo fattore ancora, vale a dire gli ipotetici processi inconsci” (Carl Jung, Introduzione alla
psicologia della traslazione).
La consulenza filosofica riesce dunque ad avere questo effetto catartico, liberatorio, di
armonizzazione e di presa di consapevolezza. Lavora anche con situazioni conflittuali, che
disturbano l’ospite e con tutto ciò che affiora nel dialogo maieutico, socratico, paritario,
cosciente, filosofico.
E in questo processo possono emergere dei sentimenti, sensazioni e idee che dapprima erano
celate e inconsce con l’effetto di risoluzione di nodi problematici.
Bibliografia:
Gerd Achenbach, La consulenza filosofica
Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente
Giancarlo Marinelli, Filosofica dell’immaginazione. Il linguaggio della pratica filosofica
Carl Jung, Introduzione alla psicologia della traslazione